2013/11/12

Fotografia: cenni giuridici

Le fotografie possono essere classificate in due categorie principali: a) opere fotografiche; b) fotografie semplici.
Le prime sono caratterizzate da connotati di creatività e originalità tali da poterne rendere possibile la qualificazione come vere e proprie opere dell’ingegno, mentre le seconde si limitano a raffigurare aspetti, elementi o fatti della vita naturale e sociale senza introdurre elementi di particolare creatività.
La qualificazione prescinde dalla circostanza che siano impiegate tecniche più o meno sofisticate essendo la stessa rimessa alla valutazione dell'interprete (cioè il giudice).  In linea di massima si ritiene che per poter considerare una fotografia come artistica, l’opera deve essere originale e creativa nella forma, intesa sia come forma interna, cioè la risultanza di combinazione di campo, prospettiva, luce e colore, attraverso i quali il fotografo traduce il proprio personale modo di vedere la realtà, sia come forma esterna, cioè il soggetto rappresentato. È ovvio che, invece, il contenuto, essendo parte della realtà, non possa essere di per sé originale, e quindi tale aspetto è del tutto irrilevante ai fini dell’apprezzamento dello sforzo creativo.
Per poter distinguere, quindi, tra un’opera fotografica ed una fotografia semplice, è necessario che sia possibile riconoscere nella fotografia l’impronta di un fotografo piuttosto che un altro.
L'importanza della distinzione risiede fondamentalmente nel tipo di tutela che viene accordata nei due casi; tutela che sarà evidentemente minore nel caso di fotografie semplici.
Qualora una fotografia rientri nella categoria delle “opere fotografiche”, l’autore della stessa sarà titolare dei c.d. diritti d’autore previsti dalle legge n. 633/1941 (“Legge”), declinabili in diritti morali e diritti patrimoniali.
I diritti morali, disciplinati dagli articoli da 20 a 24 della Legge, consistono nel diritto dell'autore di rivendicare la paternità dell'opera e di opporsi a qualsiasi atto a danno dell'opera stessa, che possa essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione. I diritti morali sono inalienabili e non hanno limiti di tempo, potendo essere fatti valere anche dai discendenti dell’autore, dopo la morte dello stesso.
I diritti patrimoniali, disciplinati dagli articoli 12 e 18 bis della Legge, consistono nel diritto di pubblicazione, riproduzione, comunicazione al pubblico, distribuzione e noleggio o prestito. Tali diritti posso essere oggetto di atti di disposizione da parte dell’autore e durano sino al settantesimo anno dopo la morte dell’autore.
Le fotografie semplici, invece, sono oggetto dei c.d. diritti connessi al diritto d’autore ed è ad esse accordata, dunque, la più contenuta disciplina di cui agli articoli 87 e seguenti della Legge.
In particolare, spetta al fotografo il diritto esclusivo di riproduzione e distribuzione dell’opera. Inoltre perché la fotografia possa essere oggetto di tutela occorre che sugli esemplari della stessa siano riportati il nome del fotografo e la data dell'anno di produzione della fotografia.  Qualora gli esemplari non portino le suddette indicazioni, la loro riproduzione non è considerata abusiva e non è dovuto l’equo compenso previsto dagli articoli 91 e 98 della Legge, a meno che il fotografo non provi la malafede del riproduttore.
Il diritto esclusivo sulle fotografie semplici dura vent'anni dalla produzione della fotografia.
Restano infine escluse da qualsiasi protezione le fotografie di “scritti, documenti, carte di affari, oggetti materiali, disegni tecnici e prodotti simili” (art. 87 della Legge), intendendosi come tali quelle aventi mera finalità riproduttivo - documentale e perciò non destinate a funzioni ulteriori, quali ad esempio la commercializzazione o promozione di un prodotto.


2013/10/15

Diritto d’autore: lo schema di regolamento dell’Agcom e i contenuti online

La consultazione pubblica indetta dall’Agcom lo scorso 25 luglio sui contenuti dello schema di regolamento di cui alla delibera 452/13/CONS in tema di diritto d’autore è giunta al termine. Si attende adesso che ne siano resi noti gli esiti.
Il tema è sicuramente scottante, posto che si tratta di bilanciare interessi fortemente contrapposti: da un lato la libertà della rete e la libertà di espressione degli utenti intesa nel senso più ampio, e dall’altro la necessità di tutelare i diritti dei soggetti legittimati sui contenuti digitali.
Il problema centrale sta nel fatto che l’attuale regolamentazione e relativa interpretazione non consentono di creare il giusto contemperamento tra tali interessi, oscillando tra soluzioni estremamente rigorose e restrittive e soluzioni del tutto inefficienti in punto di tutela.
Sebbene lo schema proposto dall’Agcom contenga, ancora una volta, profili discutibili e immancabili incongruenze, si apprezzano alcuni aspetti positivi, tra cui:
- l’esclusione degli utenti finali, ossia dei downloader, dall’ambito soggettivo del regolamento;
- lo sviluppo di forme di autoregolamentazione da parte degli internet service provider per incentivare e promuovere l’offerta legale dei contenuti digitali;
- l’esclusione degli onerosi obblighi di filtraggio preventivo da parte degli internet service provider; soluzione che riflette peraltro l’orientamento giurisprudenziale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea;
- la previsione di un intervento mirato dell’internet service provider per la rimozione dei contenuti nelle ipotesi di richiesta da parte del titolare dei diritti;
- la previsione dell’intervento dell’Agcom nelle sole ipotesi in cui l’internet service provider non abbia provveduto alla rimozione dei contenuti illegittimi.
Pur rinviando un esame più approfondito del testo del regolamento ad un momento successivo, ossia all’eventuale definitiva approvazione dello stesso, intanto prendiamo atto del tentativo di un approccio alla materia più equilibrato e costruttivo rispetto al passato. Almeno nelle intenzioni.

2013/09/27

Diffamazione: quale responsabilità per il direttore di un telegiornale?

Sul piano penalistico, la responsabilità del direttore di una testata giornalistica discende dall’art. 57 del codice penale ai sensi del quale "salva la responsabilità dell’autore della pubblicazione e fuori dei casi di concorso, il direttore o il vicedirettore responsabile, il quale omette di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati è punito, a titolo di colpa, se un reato è commesso, con la pena stabilita per tale reato diminuita di un terzo".

Tuttavia, in ambito radiotelevisivo, tale norma non trova applicazione, in quanto l’equiparazione tra direttore del telegiornale e direttore del giornale vale unicamente in relazione alle responsabilità connesse alla registrazione della testata giornalistica.

La dottrina e la giurisprudenza osservano che, qualora l’illecito abbia natura di reato, in base al predetto articolo 57, il direttore che abbia omesso il dovuto controllo ne risponderà oltre che penalmente anche civilmente.
Non applicandosi tale norma in ambito radiotelevisivo, si è obiettato che il direttore del telegiornale non possa essere chiamato a risarcire, almeno non su tale base normativa, il danno cagionato dal giornalista.

La dottrina, approfondendo il tema, si è chiesta, però, se in caso di illecito che rilevi solo civilmente, il direttore (anche del telegiornale) possa essere chiamato a rispondere per il risarcimento del danno.

A tal proposito si è osservato che il diritto-dovere del direttore di esercitare un sindacato sul contenuto della pubblicazione discende – prima che dall’articolo 57 c.p. – dal proprio ruolo e dai poteri attribuitigli. Pertanto in caso di commissione di un illecito a mezzo stampa, ove sia mancato l’esercizio di tale diritto-dovere, il direttore –avendo contribuito alla determinazione dell’illecito stesso – ben potrebbe essere chiamato a risponderne.

Naturalmente vale, in ogni caso, la precisazione secondo cui ogni valutazione deve essere compiuta in termini di “ragionevolezza”.  E’ evidente, infatti, che non si potrà valutare allo stesso modo la diligenza e la responsabilità del direttore in relazione ad un servizio da quest’ultimo voluto, valutato e consapevolmente diffuso e la responsabilità del direttore rispetto, per esempio, ai contenuti di un’intervista trasmessa in diretta durante il telegiornale, rispetto ai quali non ci si potrebbe ragionevolmente attendere l’esercizio di un sindacato preventivo.

Antitrust: pagamenti online con carta di credito


L’Autorità garante della concorrenza e del mercato è recentemente intervenuta sul delicato tema degli acquisti online, sanzionando una nota compagnia operante nel settore dei viaggi, per aver quest’ultima posto in essere pratiche commerciali scorrette.
L’azienda in particolare avrebbe operato illegittimamente in ragione della a) prospettazione non rispondente al vero della disponibilità di voli e alberghi sul sito internet a prezzi particolarmente vantaggiosi; b) predisposizione, non rispondente ai canoni di correttezza e buona fede, di un sistema di pagamento dei servizi suscettibile di determinare dei blocchi ingiustificati di disponibilità di somme, per periodi prolungati, senza informarne gli utenti; c) divulgazione di informazioni ingannevoli circa le modalità di assistenza fornite ai consumatori mediante un numero telefonico a tariffazione maggiorata.
In particolare l’Autorità ha accertato che la promozione delle offerte di voli aerei e pacchetti viaggio, realizzata dall’azienda mediante il proprio sito internet, risultava ingannevole a causa dell’omissione, sin dal primo contatto, dell’indicazione dei limiti di disponibilità delle offerte e delle voci di costo già conoscibili ex ante (quale il costo di gestione della pratica da parte dell’azienda e quello connesso all’utilizzo, da parte dei consumatori, di distinte tipologie di carte di credito/debito per l’esecuzione del pagamento) cosicché il prezzo complessivo della transazione risultava percepibile solo al termine della procedura di prenotazione, cioè solamente quando veniva richiesto al consumatore l’inserimento dei dati relativi allo strumento di pagamento prescelto.
All’inizio del processo di prenotazione, infatti, compariva quale prezzo unitario per singola offerta disponibile, il prezzo che il consumatore avrebbe pagato, fortemente scontato, qualora avesse fatto ricorso allo specifico strumento di pagamento costituito dalla carta dell’azienda.
Soltanto in una fase successiva, utilizzando una carta di credito diversa da quella dell’azienda, compariva il prezzo complessivo del biglietto in cui il consumatore veniva informato di quanto gli veniva addebitato per l’utilizzo del mezzo di pagamento prescelto (ricompreso peraltro in una voce denominata “spese di gestione” presentata congiuntamente alle tasse, per un totale di x euro per tratta per persona).
L’elevato numero di segnalazioni su pratiche di questo tipo ha dunque determinato l’intervento dell’Autorità che, a seguito, di un articolato iter procedimentale, è pervenuta all’irrogazione, nei confronti della nota azienda, delle sanzioni legislativamente previste.

2013/06/17

La tutela dei contenuti editoriali online e la libertà d’informazione: gli spunti proposti dall’AGCM

Lo scorso 24 maggio, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ha formulato alcune osservazioni in merito alla tutela dei contenuti editoriali su internet. L’Autorità, nel considerare l’importanza del web quale volano per l’economia e per il miglioramento della competitività, ha rilevato la necessità di interventi mirati nel settore dell’editoria; ciò al fine di evitare l’insorgere di meccanismi che possano condurre ad una non adeguata strutturazione dell’offerta nonché ad una alterazione dei meccanismi competitivi tra i soggetti operanti nel mercato di riferimento.
Diventa dunque fondamentale riflettere su questi rischi e sulla conseguente necessità di adoperarsi, sia in sede nazionale che europea, per individuare soluzioni che possano consentire lo sviluppo del settore in un sistema equilibrato in cui trovino un adeguato bilanciamento tutti gli interessi coinvolti, ossia: (i) l’interesse degli editori a monetizzare il valore della propria attività online; (ii) l’interesse degli aggregatori di notizie a non veder eccessivamente costretta la propria attività in limiti non sopportabili, specialmente in caso di operatori di piccole dimensioni e con minori risorse; (iii) l’interesse degli utenti a veder tutelato il proprio diritto all’informazione; (iv) l’interesse pubblico allo sviluppo di una economia digitale, rispettosa delle norme in tema di diritto d’autore e concorrenza, da contemperarsi con i principi fondamentali connessi alla libertà di iniziativa economica.
È evidente che il contemperamento di tali interessi risulta essere nei fatti assai complesso, proprio perché ben spesso gli stessi tendono a porsi in assoluta contrapposizione; ciò cui si aggiunge tra l’altro il rischio che i player di maggior rilievo e struttura (nello specifico gli editori tradizionali che operino anche sul web) possano risultare maggiormente favoriti rispetto alle figure di nuova emersione. Ciò pertanto impone la necessità di una grande cautela nell’affrontare la questione in esame.
Nell’osservare ciò che è avvenuto negli altri Paesi Europei, di fatto ci si rende conto di come sia impossibile ravvisare una soluzione univoca che possa essere oggetto di condivisione generale, ma un breve richiamo ad alcune esperienze significative può apparire interessante.
Ad esempio, in Francia è stato sottoscritto un accordo fra Google e gli editori, che permetterà a questi ultimi di beneficiare di un fondo di 60 milioni di euro stanziati da Google, al fine di sostenere la transizione digitale della stampa e i relativi investimenti ed innovazioni. Il perimetro dell’accordo concerne la stampa c.d. “d’informazione politica e generale”, che raggruppa la stampa quotidiana nazionale e regionale e la stampa periodica. Il fondo sarà dotato di una governance aperta con un Consiglio di Amministrazione, composto da membri indipendenti, e funzionerà attraverso il finanziamento di progetti ritenuti meritevoli, unitamente al partenariato tecnico ed alla collaborazione di Google per lo sviluppo dei progetti finanziati. Tuttavia, secondo l’opinione dell’Agcm, tale soluzione non apparirebbe pienamente compatibile con i principi concorrenziali e non si presterebbe ad essere utilizzata in termini sistemici e strutturati; di più soluzioni di questo tipo sembrerebbero configurarsi come forme generiche di compensazione, piuttosto che come misure volte ad assicurare lo sviluppo nel tempo di nuove modalità di sfruttamento delle risorse offerte dalla rete.
Una via preferibile, secondo l’Agcm, potrebbe piuttosto essere quella prescelta dall’ordinamento tedesco, che ha optato per l’introduzione di un diritto connesso al diritto d’autore a favore degli editori di stampa sull’utilizzo in internet dei propri contenuti per fini commerciali, facendo salva la pubblicazione di singole parole o di sintesi limitate dei testi.
In linea generale, l’Autorità auspica soluzioni intese alla ridefinizione della disciplina del diritto d’autore che, consentendo la partecipazione dei soggetti impegnati nella produzione e diffusione di contenuti informativi ai benefici derivanti dalla diffusione di tali prodotti sulla rete, determinino un evidente vantaggio sotto il profilo dell’efficienza allocativa statica e dinamica dei mercati afferenti al settore.

2013/05/14

Agcom: indagine conoscitiva su servizi internet e pubblicità online

L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, con delibera n. 39/13/CONS, ha avviato un’indagine conoscitiva avente ad oggetto i servizi internet e la pubblicità online.
L’Autorità ha infatti rilevato come, nonostante l’estrema varietà e polverizzazione di internet, il mercato pubblicitario on line sia connotato da una elevata e strutturale concentrazione e come eventuali strozzature concorrenziali nella raccolta pubblicitaria on line potrebbero determinare effetti negativi sia sulla natura stessa, aperta e competitiva, di internet sia sulle informazioni e notizie a disposizione di cittadini e utenti.
Di qui, anche tenuto conto della rilevanza strategica della rete e dei riflessi sugli assetti e sulle dinamiche competitive di tutti i mezzi di comunicazione di massa dell’evoluzione digitale, l’Autorità ha ritenuto opportuno procedere ad un’indagine conoscitiva che permettesse un monitoraggio della rete sia sul versante della raccolta pubblicitaria sia sul versante della fornitura dei nuovi servizi di comunicazione agli utenti.
Soltanto analizzando la struttura dell’intera filiera produttiva, i modelli economici e finanziari sottostanti le nuove piattaforme digitali, nonché le eventuali criticità nella struttura concorrenziale, sarà possibile secondo l’Autorità riuscire a valutare i benefici e i costi degli interventi legislativi e regolamentari nel predetto settore, valutando altresì le modalità dei nuovi interventi.
Nell’ambito di tale indagine, l’Agcom ha avviato una consultazione conoscitiva rivolta a tutti i soggetti attivi, a qualsiasi titolo, sul web. Mediante tale consultazione l’Autorità si pone l’obiettivo di acquisire informazioni sull’uso di internet dando la possibilità a tutti coloro che utilizzano la rete in qualità sia di utenti sia di fornitori di servizi in rete, di segnalare ed evidenziare il loro punto di vista in merito ai temi individuati sull’accesso e l’utilizzo di internet e dei suoi servizi.
In particolare, si va dalle apparecchiature utilizzate per la navigazione in rete (e i relativi sistemi operativi), ai motori di ricerca e ai social network, fino a richiedere contributi su come ci si informa sul web.
Alla consultazione, che terminerà il 1° luglio, potranno dunque partecipare tutti i soggetti interessati, mediante la compilazione di un semplice modulo, reperibile sul sito dell’Autorità.

2013/04/15

Cloud computing: cenni sugli aspetti legali

Il Cloud computing consiste nella possibilità di memorizzare, archiviare ed elaborare dati mediante l’uso di risorse informatiche virtualizzate. Pur potendosi distinguere tra infrastrutture provate e pubbliche, ciascuna dotata di proprie peculiarità, è possibile individuare dei tratti comuni alle diverse piattaforme.
In particolare, i dati non risiedono fisicamente nell’ambiente informatico del fruitore bensì nel server del provider e ad essi può accedersi unicamente via internet; inoltre la medesima piattaforma può contenere dati di diversi utenti, il che implica tra l’altro la necessità di sistemi di sicurezza adeguati che garantiscano il più elevato livello di protezione e riservatezza.
Il cloud presenta evidenti vantaggi per i fruitori, rappresentati oltre che dalla possibilità di accedere ai dati dal web, anche dalla disponibilità di ampi spazi di memoria e dalla possibilità di conferire a terzi l’incarico di gestire i propri i dati, in un’ottica di esternalizzazione delle attività aziendali.
Accanto agli indiscutibili vantaggi, il cloud presenta anche alcuni rischi, rappresentati innanzitutto dall’effettiva garanzia di disponibilità e accessibilità dei dati che dipende in primo luogo dalla qualità dei servizi di connessione (tematica che si ricollega tra l’altro all’annosa questione della diffusione della banda larga) oltre che dal grado di affidabilità della piattaforma; affidabilità che è richiesta anche in considerazione di un ulteriore rischio, connesso alla protezione dei dati in termini di integrità e sicurezza dei medesimi, anche sotto il profilo della riservatezza.
Tale ultimo aspetto rileva peraltro non solo in relazione alla tutela dei dati del fruitore, ma anche in relazione ad eventuali dati di terzi da quest’ultimo detenuti e rispetto ai quali il provider deve assumere un ruolo attivo di tutela.
Deve peraltro rilevarsi che alcune perplessità sollevate in relazione al fenomeno del cloud derivano anche da una carenza, allo stato attuale, di una normativa che regoli adeguatamente l’uso di tale tecnologia. In assenza di un quadro normativo esaustivo, diventa dunque indispensabile affidarsi ad una regolamentazione contrattuale completa ed efficace che consenta al fruitore del servizio di godere di un adeguato livello di tutela.
Il regolamento contrattuale dovrà recare, infatti, indicazioni dettagliate in merito agli standard del servizio di cloud e alle relative garanzie e responsabilità del provider specialmente in relazione a qualità, sicurezza e riservatezza. Fondamentale, in tale ottica, anche l’individuazione del luogo di conservazione dei dati, al fine di determinare la legge applicabile; problema peraltro particolarmente sentito in considerazione del continuo flusso di dati tra soggetti diversi, come avviene per esempio nell’ipotesi in cui il fornitore del servizio conferisca a terzi l’incarico di conservare parte dei dati acquisiti.
Quelli riportati, naturalmente, sono solo pochi cenni di un tema ben più complesso e articolato, ma pongono in evidenza, anche tenuto conto dell’innovatività di tale servizio e delle lacune normative in materia, la necessità di regolamentarne la fruizione sulla base di parametri contrattuali ben definiti.

2013/04/02

Il web: luogo di satire e parodie

Il web diventa sempre più luogo di espressione della creatività e basta accedere ai principali siti che contengono video e immagini caricate dagli utenti per rendersi conto delle dimensioni di questo fenomeno.
Tra i numerosissimi video caricati dagli utenti non passano certamente inosservate le parodie che affollano il web; parodie caricate da giovanissimi utenti, ma sempre più spesso anche da professionisti.
Ma quali sono i limiti giuridici di questa espressione di creatività?
Innanzitutto definiamo che cosa deve intendersi per parodia.
Quest’ultima altro non è che una forma di satira e consiste nella rielaborazione creativa per finalità comiche di un’altra opera (ad esempio un film), al fine di suscitare ilarità.
In linea generale l’attività parodistica è giudicata lecita e l’opera in cui si concreta è considerata indipendente rispetto all’opera parodiata e, come tale, suscettibile di tutela secondo le norme del diritto d’autore.
Si ritiene, infatti, che la parodia, in ragione dello stravolgimento concettuale che realizza, nonché delle finalità comiche che si prefigge, costituisca un’opera nuova, non suscettibile di ledere, in alcun modo, l’autore dell’opera parodiata. E ciò quand’anche la parodia sia frutto di un contributo creativo di modesta entità.
Ciò che si osserva, infatti, è che le condizioni innanzi accennate escludono ogni possibilità di concorrenza con l’opera parodiata, rivolgendosi talora anche ad un pubblico differente. In sostanza, anche se la parodia si giova dell’avviamento conseguito dalla preventiva diffusione dell’opera parodiata, allo stesso tempo non le sottrae mercato.
Quindi, quand’è che la parodia diventa illecita?
La parodia diventa illecita, fondamentalmente, quando non presenti lo stravolgimento concettuale che tipicamente la contraddistingue oppure quando contenga un attacco alla personalità dell’autore o, comunque, una sua denigrazione. Esattamente come avviene per la satira in senso stretto, la parodia non deve attribuire fatti non veri alle persone citate, non deve contenere insulti diretti o indiretti e non deve ironizzare su particolari della vita privata che non presentino implicazioni rilevanti tenuto conto delle eventuali cariche pubbliche rivestite dal personaggio.

2013/03/04

Il contratto di bartering

In un periodo di crisi economica come quello che stiamo vivendo anche in un settore ricco come quello televisivo può essere utile ricorrere a strumenti contrattuali che consentano, specialmente, agli operatori di minori dimensioni e a quelli emergenti di ottimizzare la propria attività imprenditoriale.
In tale ottica va senz’altro menzionato il contratto di bartering, sviluppatosi in tempi relativamente recenti negli Stati Uniti, e suscettibile di acquisire contenuti particolari a seconda delle concrete esigenze.
Immaginiamo un’ipotesi molto semplice che coinvolga un produttore indipendente ed un’emittente televisiva di piccole dimensioni.
Ricorrendo a tale schema, il produttore potrà realizzare un programma, inserendo liberamente al suo interno i messaggi pubblicitari, per poi cederlo ad una emittente in cambio del servizio di diffusione della pubblicità.
Si realizza quindi un vero e proprio scambio tra cessione dei diritti di diffusione del programma ed acquisto di spazi nel palinsesto dell’emittente.
Questa operazione presenta evidenti vantaggi per tutti i soggetti coinvolti.
Per un verso, infatti, l’emittente può implementare il proprio palinsesto ottenendo programmi a costo zero; e per altro verso il produttore può accrescere la propria visibilità e le proprie “chance” di lavoro.
In tale ottica, il contratto di bartering può senza dubbio rappresentare un’opportunità di crescita per tutti quegli operatori, giovani ma non solo, che abbiano voglia di sperimentare le proprie capacità, di implementare il proprio bagaglio professionale e di affermarsi su un mercato che ha bisogno più che mai di idee nuove.

2013/02/01

Publiredazionale: quando è lecito?

La scelta di concludere un contratto per la realizzazione di un redazionale pubblicitario non sempre è accompagnata dalla consapevolezza delle criticità che caratterizzano tale forma promozionale e della necessità di adottare opportuni accorgimenti sia in sede contrattuale sia in sede esecutiva.
Peculiarità dei redazionali pubblicitari è infatti la promozione di un brand, un prodotto o un servizio in un contesto tipicamente editoriale: si pensi ad un articolo giornalistico o ad un blog. In sostanza si tratta di un vero e proprio “travestimento”: la comunicazione commerciale si traveste da comunicazione “informativa”, sicché il contenuto pubblicitario ed il contenuto editoriale tendono a fondersi sino a diventare, talvolta, un unicum non scindibile.
Ma è proprio questa caratteristica del publiredazionale che fa scattare l’allarme.
Una forma promozionale che si confonde con il contenuto editoriale contrasta, evidentemente, con le norme che impongono, sia a livello legislativo che regolamentare, la riconoscibilità e la trasparenza delle comunicazioni commerciali, ponendosi, dunque, ai confini della pubblicità occulta. Ed il rischio di illiceità appare tanto più alto quanto più la comunicazione promozionale appare non distinguibile dal contesto editoriale in cui è inserita; ossia quanto più l’elogio del brand, del prodotto o del servizio appare frutto dell’opinione e dei gusti del blogger o del giornalista.
Pertanto affinché il publiredazionale sia lecito occorre che, ferme restando le peculiarità di tale forma promozionale, il pubblico sia messo in condizione di percepire il carattere promozionale delle informazioni ricevute, mediante l’impiego di idonei accorgimenti di carattere stilistico e grafico.
E di tali misure si dovrà, ovviamente, tenere conto nella stesura del regolamento contrattuale tra impresa committente ed editore. È chiaro, infatti, che se i redazionali pubblicitari sono ai limiti dell’illecito, i contratti sottostanti rischiano di essere nulli per contrarietà alle norme di legge e, segnatamente, per violazione del divieto di pubblicità occulta.

2013/01/15

Le caratteristiche del contratto di concessione pubblicitaria

Con il contratto di concessione pubblicitaria, un soggetto (il concedente) affida ad un altro soggetto (il concessionario) l’attività di ricerca e la conclusione dei contratti per la diffusione di pubblicità sul proprio mezzo di diffusione. Ciò a fronte di un corrispettivo rappresentato generalmente da una percentuale del fatturato prodotto dalla conclusione dei contratti con gli inserzionisti.
Nonostante i tentativi operati da dottrina e giurisprudenza, il contratto di concessione pubblicitaria non può essere ricondotto ad uno schema tipico disciplinato dal codice civile e ciò determina una maggiore autonomia delle parti nella determinazione del contenuto contrattuale, fatta salva, naturalmente, l’applicazione delle norme inderogabili di legge.
Sovente il contratto di concessione è caratterizzato dalla previsione di vincoli di esclusiva a carico di una o di entrambe le parti. Si potrà dunque prevedere che il concedente non possa rivolgersi ad altre società per la raccolta di pubblicità oppure che il concessionario non possa acquisire incarichi da imprese concorrenti della concedente. I vincoli di esclusiva, naturalmente, possono essere modellati diversamente a seconda dei casi pattuendo condizioni più o meno stringenti ed incisive. Allo stesso modo potrebbero essere introdotte delle deroghe: per esempio si potrebbe prevedere l’applicazione dell’esclusiva soltanto in relazione alla pubblicità di determinate tipologie di prodotti o servizi, oppure potrebbe essere applicata alla pubblicità nazionale ma non anche alla pubblicità locale. Il mancato rispetto del vincolo di esclusiva, tipicamente, è sanzionato dalla risoluzione del contratto o dal pagamento di penali.
Un profilo senz’altro importante è rappresentato dalla individuazione delle tariffe per la vendita di pubblicità agli inserzionisti da parte del concessionario. Sotto tale aspetto è possibile ravvisare diverse soluzioni nella prassi contrattuale. In taluni casi, infatti, è possibile trovare condizioni molto rigide caratterizzate dalla predeterminazione nel contratto di concessione delle tariffe applicabili, mentre in altri casi è lasciata maggiore discrezionalità alla concessionaria che potrà negoziare al meglio i contratti. Naturalmente tra le due opzioni possono essere individuate soluzioni “mediane”, ritagliate sulle esigenze e sulla politica delle imprese coinvolte.
Con il contratto di concessione se da un lato la concessionaria si obbliga a concludere contratti con gli inserzionisti, dall’altro la concedente assume l’obbligo di dare esecuzione a tali contratti. Tuttavia quest’ultima potrebbe riservarsi il potere di rifiutare di veicolare sul proprio mezzo di diffusione quei messaggi che per il contenuto o che per la natura degli inserzionisti siano in contrasto con la legge, l’ordine pubblico, il buon costume o, più semplicemente, con la propria politica aziendale. Tale condizione rappresenta, evidentemente, una cautela per la concedente che rischierebbe di incorrere in responsabilità anche gravi qualora diffondesse messaggi pubblicitari che per qualsiasi ragione siano da considerare in contrasto con la legge.
In ordine al corrispettivo spettante alla concessionaria per l’attività svolta, normalmente, esso consiste nella corresponsione di una percentuale sul fatturato derivante dalla conclusione dei contratti con gli inserzionisti; percentuale sovente pari ad un terzo dei ricavi con versamento su base, spesso, mensile o trimestrale. Cosa succede se l’inserzionista non paga? Generalmente il rischio è distribuito sul concedente e sul concessionario in proporzione alle quote di ciascuno.